Scommetto che alla parola “Brachetto” vi vengono in mente le feste, un cabaret di bignole e una bottiglia di vino dolce. Ecco, dimenticate quella immagine e preparatevi alla “Brachetto fusion” e a scoprire un nuovo modo di concepire un vitigno aromatico estremamente versatile.
L’occasione fortuita per approfondire le diverse anime del Brachetto è stata una degustazione organizzata dal Consorzio Tutela Vini d’Acqui in collaborazione con Gambero rosso e Città del gusto Torino tenutasi il 20 marzo presso Palazzo Copernico.
Il Consorzio Tutela Vini d’Acqui – nato nel 1992 per tutelare la produzione del vitigno Brachetto con un disciplinare ferreo – sta portando avanti un’intensa attività di promozione di questa eccellenza attraverso una serie di eventi affidandone la divulgazione a giornalisti, blogger, comunicatori, ristoratori, chef e mixologist, grazie ai quali è nato anche un prezioso ricettario.
La prima tappa del “Brachetto on tour” è stata un’interessante wine tasting delle migliori etichette dei vini d’Acqui nelle tre varianti: il dolce, il rosso e il rosè. La prima versione è sicuramente la più conosciuta, quella degli abbinamenti troppo scontati con i dolci a fine pasto, ma ne scoprirete di inediti con la “Brachetto fusion”. L’Acqui secco è forse la versione meno nota, ma la più intrigante; al naso stimola i recettori olfattivi con la sua inconfondibile aromaticità e poi in bocca disorienta con le note balsamiche e i sentori di spezie.
Una versione molto amata è l’Acqui docg rosè, in cui il perlage fine e il color cipria contribuiscono ad enfatizzare i sentori di rosa, fragoline di bosco e lamponi tipici del vitigno autoctono piemontese.
“Brachetto fusion”
Ma veniamo alla “Brachetto fusion”, la cena che ha ribaltato le mie certezze su questo vitigno, più una chicca finale. La location, il Petit restaurant japonais, una piccola perla incastonata nel centro storico di Avigliana, non lontano dalle rive del lago grande.
Questi ambienti suggestivi sono resi ancora più caldi dall’accoglienza di Simone e del suo staff. In cucina la moglie Naomi, che riesce a trasmettere tutta l’essenza del popolo giapponese attraverso i suoi piatti.
La vera sfida di questo percorso gastronomico sono stati proprio gli abbinamenti con il Brachetto in tutte le sue declinazioni, dal dolce al passito. Il benvenuto di Naomi, gli edamame caldi, sono stati serviti con il primo vino – il Brachetto d’Acqui docg tappo raso – che ha accompagnato tutti gli antipasti. Sicuramente è stato l’abbinamento più sfidante, e a modesto parere personale, quello meno ideale perché la dolcezza spiccata del Brachetto nella sua versione più classica, per contrapposizione necessiterebbe di una spinta molto più sapida.
I piatti di Naomi sono un viaggio nella vera cucina tradizionale giapponese di Miyazaki. La zuppa di miso con tofu, una vera coccola corroborante.
Il chicken nanban, il pollo fritto marinato e agrodolce con verza stufata e una salsa tartara con cetriolo, è un piatto tipico della prefettura di Miyazaki nell’isola Kyushu. Succoso, saporito e tenero, ci è stato servito con l’Acqui rosè. Abbinamento ideale, che ho apprezzato molto.
Abbiamo proseguito la nostra “Brachetto fusion” con un okonomiyaki di verdure con katsuoboshi. Realizzato alla moda di Osaka, è una frittella di cavolo, cipollotto e pancetta, decorato con scaglie di tonno affumicato. Delizioso ed equilibrato. Catartico il movimento del katsuoboshi, provare per credere.
L’abbinamento dell’okonomiyaki era un Acqui secco docg, che ho trovato perfetto anche per i ravioli.
Che gioia per le mie papille provare i gyoza di wagyu con salsa ponzu. La carne bovina di wagyu è molto ricercata e apprezzata per la sua marezzatura che dona una marmorizzazione visiva davvero unica e la rende tenera, succosa e tra le più pregiate e costose al mondo.
Anche qui l’Acqui secco, che con le sue note speziate e balsamiche ha esaltato la complessità dei ravioli.
La nostra “Brachetto fusion” è proseguita con i dolci. Il mochi giapponese alla vaniglia di Naomi, il migliore di sempre, consistenza perfetta, non troppo gommoso, suadente, freddo al punto giusto.
L’accompagnamento più congeniale è stato l’Acqui docg nella versione passito. Una chicca che non conoscevo, una vera folgorazione che ho amato per la sua freschezza e la dolcezza non stucchevole.
Abbiamo terminato in bellezza la nostra “Brachetto fusion” con i piccoli capolavori del maestro pasticciere Alessandro Dalmasso, campione del mondo pluripremiato. Studio, ricerca, esecuzione sartoriale delle sue creazioni che sanno emozionare. In ognuno dei suoi mignon il richiamo al Giappone e ai vini d’Acqui. Tartelletta tricolor con fragoline di bosco, namelaka al cioccolato bianco e gelatina di Brachetto d’acqui; bignolina tea matcha e cioccolato fondente; bavarese lamponi, hibiscus con crema all’Acqui docg rosè; giardino di yuzu; suiberu all’amarena con panna cotta e fave tonka.
Con questi bocconi di divina goduria abbiamo bevuto il Brachetto d’Acqui docg nella sua versione più classica. Che idillio i sentori floreali e di piccoli frutti rossi uniti ai gusti insoliti delle delizie artigianali firmate Dalmasso.
Grazie a Simone e Naomi di Le petit restaurant japonais, ad Alessandra Monda direttrice de La città del gusto di Torino, a Gianpaola Baldi presidente del Consorzio Vini d’Acqui per questo invito speciale.
http://www.lepetitrestaurantjaponais.com
http://www.brachettodacqui.com
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