I motori di Vendemmia a Torino si sono accesi nel 2017, dopo che grazie alla vittoria di un bando regionale, le istituzioni hanno creduto in questo grande progetto che ha visto coinvolta tutta la città di Torino in un percorso dove il vino è stato protagonista assoluto.
Dal 2017 ad oggi si sono susseguite edizioni in costante crescita sia a livello di presenze di aziende coinvolte, sia in termini di pubblico partecipante.
Di anno in anno il programma si fa più interessante e il calendario sempre più fitto di eventi tra degustazioni, laboratori, workshop, pranzi e cene tematiche, visite guidate in cantine del territorio e presso le enoteche della città.
Vi porto con me per farvi scoprire tre degli eventi ai quali ho partecipato durante l’edizione 2021.
Digital wine talks
Nella cornice di Combo, hub polifunzionale in pieno Porta Palazzo, l’esperta di marketing digitale Susana Alonso, ha presentato il suo libro “Digital wine marketing” e ha fatto una panoramica delle strategie di marketing e posizionamento per cantine e comunicatori del mondo del vino.
E’ stato un excursus molto interessante per carpire strumenti utili per differenziarsi ed emergere non solo online ma anche offiline grazie all’enoturismo.
Non potevano mancare i produttori, rappresentati dalle cantine Cinque quinti e Vinchio Vaglio, delle quali abbiamo potuto assaggiare alcuni vini, tra i quali un Metodo classico e una Barbera d’Asti.
Visita di Palazzo Barolo in notturna + “Le Masche”
Conoscevo Palazzo Barolo, come altre dimore storiche, perché ho recitato spesso in abiti d’epoca per diversi eventi, ma non avevo mai fatto una visita così approfondita, e soprattutto mai in notturna proprio ad Halloween.
Guidati dalla bravissima guida Antonella di Somewheretour siamo andati alla scoperta di questo fascinoso palazzo del ‘700 torinese, storica residenza dei Conti Provana. Tra quei saloni aleggia la leggenda nera che vide protagonista Elena Matilde, unica figlia del terribile Ottavio Provana di Druento, meglio conosciuto come Monsu Druent. Egli la diede in sposa al figlio del marchese Falletti di Barolo. Durante il banchetto nuziale il crollo dello scalone d’onore ebbe tutta l’aria di un cattivo presagio.
Costretta a vivere relegata nel palazzo dal padre che si oppose alla scelta della figlia di trasferirsi con il marito e i figli, durante una notte si suicidò gettandosi dalla finestra della sua camera.
Le sale del palazzo sono tutte in stili differenti e dalla bellezza straordinaria.
- Una delle porte volanti
Aneddoto curioso: le porte volanti servivano per non essere bloccate dai tappeti durante la loro chiusura e per essere appoggiate dalla servitù senza fare rumore.
E’ grazie a Juliette Colbert (meglio nota come la Marchesa Giulia di Barolo per aver sposato Tancredi Falletti di Barolo) che Palazzo Barolo divenne una Fondazione attraverso la quale fece tantissime opere benefiche e caritatevoli per le quali arrivò anche a farsi incarcerare.
- L’alcova di Juliette Colbert
A guardare col naso all’insù i soffitti, si resta stupiti e a bocca aperta come bimbi di fronte a un pacco regalo. Quanta magnificenza in quegli affreschi ritraenti varie divinità dell’Olimpo.
Questa sala è stata rimaneggiata da circa un anno e ospita, con quelle adiacenti, eventi e banchetti prestigiosi. E’ suggestivo l’effetto creato dallo specchio sul tavolo che riflette il soffitto affrescato.
Ma veniamo al vino, perché le storie avvincenti mettono sete.
“Torino sotterranea” è uno dei tour più famosi di Somewheretour e avrei dovuto immaginare che anche Palazzo Barolo avesse i suoi sotterranei, ma vedere la cantina è stata una bella scoperta.
Ad accoglierci c’erano i giovani titolari della cantina “Le Masche” di Levone canavese.
I loro vini sono dedicati a quattro donne di Levone accusate di stregoneria dall’inquisitore Francesco Chibaudi. Due morirono in un rogo, una rimase incarcerata e una riuscì ad evadere.
E’ davvero esemplare il legame che questa giovane azienda vitivinicola ha con il territorio canavesano.
Abbiamo assaggiato alcuni dei loro vini tra bianchi e rossi, ma mi ha colpito molto il loro Metodo classico da uve Pinot nero. Scelta coraggiosa l’uso di un vitigno complicato, soprattutto in un territorio che ne predilige ben altri, ma il risultato è riuscito, davvero un ottimo spumante.
La cantina di Palazzo Barolo ha anche inaugurato la mostra “Etichette” con l’esposizione di oltre 300 etichette storiche di vini, birre, distillati. La più ampia collezione temporanea mai proposta, che rappresenta una piccola parte dell’ampia collezione di 282mila pezzi conservata presso il Castello di Barolo.
Le etichette esposte sono state selezionate sulla base di aspetti grafici, artistici e di design, che hanno reso e rendono questi rettangoli di carta uno strumento di comunicazione potente ed efficace.
Perché sì, ne sono convinta, un vino si giudica anche dall’etichetta.
Goustò: degustazione vini Stefano Rossotto
La serata da Goustò, locale intimo nel cuore di Porta palazzo, con il produttore Matteo, quarta generazione della cantina torinese Stefano Rossotto e il giornalista Alessandro Felis, è stata davvero eccezionale.
Raffaella, splendida padrona di casa, ci ha accolti nel suo emporio enogastronomico per una degustazione guidata, in cui la vera protagonista è stata la Freisa in tutte le sue declinazioni.
Anfitrione del percorso enologico è stato il mitico Alessandro Felis, giornalista enogastronomico dalla grande esperienza nel settore, che riesce sempre ad ammaliare con la sua narrazione; potrei ascoltarlo per ore.
Ma veniamo alla protagonista della serata, la Freisa.
Nel ‘700 le famiglie nobili torinesi possedevano all’interno delle loro dimore una vigna, che consentiva loro di produrre vino per autoconsumo.
Uno dei vitigni principali già presente all’epoca e resistente tuttora e maggiormente rappresentativo della collina torinese era proprio il Freisa. Questo vitigno conosciuto soprattutto per la sua versione vinificata vivace, con le sue piacevoli bollicine, ma dal punto di vista ampelografico (secondo lo studio dei vitigni e delle uve) si è scoperto che il Freisa è un vitigno dal dna molto simile a quello del Nebbiolo; nonostante la sua rusticità è in grado di evolvere e invecchiare con lunghi affinamenti. La Freisa è regina delle colline torinesi e vanta una storia secolare, esiste addirittura una bolla doganale del comune di Pancalieri in cui viene citata.
La cantina Stefano Rossotto nasce nel 1923 a Cinzano torinese, ultimo paese della provincia ai confini con il Monferrato, a 500 metri sul livello del mare, da sempre territorio ideale per viticoltura, cerealicoltura e produzione di nocciole.
Dall’attività di mezzadria a quella della vitivinicoltura il passo è stato breve e negli anni una grande accelerazione a livello produttivo e qualitativo fu dato dall’avvento delle Doc e delle certificazioni dei vini da sfusi a imbottigliati.
L’azienda ancora oggi a conduzione familiare, guidata da Stefano e dai figli, un agrotecnico e un enologo, si estende per 15 ettari e produce 15 mila bottiglie l’anno.
Producono diversi vini ma veniamo a quelli scelti per la degustazione: un Sauvignon, la Freisa, che abbiamo bevuto nelle versioni Metodo classico (36 mesi sui lieviti), vivace, invecchiata e chinata.
Inutile dirvi che il primo vino in assaggio la Freisa spumantizzata, mi ha stregata; ebbene sì ho un debole per i rosati in questa versione friccicarella, ma sono convinta che avrebbe stupito anche voi. I lieviti sono quasi impercettibili, ma quel sentore di crosta di pane e biscotteria secca burrosa colpisce subito, per poi lasciare il posto al lampone, descrittore netto, preciso, aromatico quel tanto da volerne bere ancora dopo qualche sfizio salato.
Infatti i vini in degustazione sono stati degnamente accompagnati dalla selezione della fantastica Raffaella, con una pralina di vicciola (carne di bovino allevato nelle Langhe nutrito prevalentemente con nocciole), il vitello alla moda del ‘700 con una salsa ottenuta dal fondo di cottura, capperi, acciughe e tuorlo d’uovo e grissini e crostini autoprodotti.
Un’ovazione a Raffaella per la cura maniacale e la ricercatezza delle materie prime, raccontate al tavolo con empatia ed emozione vera.
Il secondo vino in degustazione è il Sauvignon blanc.
Dati l’altitudine ottimale delle vigne, la conseguente escursione termica, e un terreno particolarmente calcareo perfetto per i vini bianchi, i Rossotto nel 2012 decisero di piantare la prima vite di Sauvignon blanc, in un appezzamento impervio sulla roccia madre con un ottimo attecchimento. La prima annata è del 2016, esperimento interessante ma ancora perfettibile.
La vinificazione “alla francese” viene effettuata con grappoli mai a piena maturazione per mantenere l’acidità e la freschezza in vasche di acciaio e per sei mesi in bottiglia prima di metterlo in commercio.
Dopo tutti questi dettagli posso confessarvi che questo vitigno mi piace molto, anche se è snobbato dai grandi professionisti del vino per alcune caratteristiche sensoriali (la cosiddetta pipì di gatto, lo so state ridendo, ma in gergo enologico viene descritta proprio così) trovo che la sua aromaticità abbinata a una bella sapidità ne facciano un vino molto interessante e che può evolvere.
Noi abbiamo bevuto un 2019 molto elegante con un bel bouquet vegetale di erbe aromatiche e note spiccatamente minerali.
Di ritorno sul vitigno protagonista della serata, siamo passati a una Freisa di Chieri vivace del 2020, l’espressione più classica e rappresentativa del territorio. E’ perfetta come aperitivo ma accompagna amabilmente tutto il pasto. Con i suoi profumi di rosa e fragoline di bosco è considerato un semiaromatico. E con i suoi tannini morbidi è perfetta con una bagna cauda. Per me fausa, rigorosamente senz’aglio; i monferrini inorridiscono lo so…
Matteo ci ha poi proposto “Anviné”, la sua Freisa ferma del 2017.
Trattata come un Nebbiolo con vinificazione sartoriale, durante la quale viene fatta una lunga macerazione delle uve raccolte tardivamente, e dopo il passaggio in acciaio riposa in botti di rovere, il che consente di ottenere un rosso di grande struttura con polifenoli alti e tannini ben integrati.
Bando ai tecnicismi, era tanta roba. E me lo sono goduto insieme al vitello “settecentesco” di Raffaella.
Il brindisi finale è stato dedicato alla chicca assoluta, la Freisa chinata da uve 100% Freisa con aggiunta di erbe e spezie.
E’ davvero stupefacente, un vino da meditazione, splendidamente accompagnato dalle lingue di gatto al cioccolato sempre offerte dalla cucina di Raffaella e il suo Goustò.
Non perdetevi i prossimi appuntamenti del 2022 di Vendemmia a Torino, ma nel frattempo vi consiglio di provare i piatti di Goustò e i vini di Stefano Rossotto, che qui non mancano.
http://www.gousto.eu http://www.vinirossotto.it http://www.latocritico.it
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